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 La selvaggina

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MessaggioTitolo: La selvaggina   La selvaggina Icon_minitimeMer Feb 18, 2009 5:30 pm

Come tutti certamente saprete la “stagione d’oro” della selvaggina va dall’autunno all’inizio dell’inverno, nel periodo in cui è aperta la caccia.
In questi mesi, da settembre a gennaio, potrete trovare con più facilità sul mercato svariati tipi di animali selvatici, con la “quasi” certezza che si tratti di selvaggina abbastanza fresca.
La selvaggina si divide in due grandi categorie: da penna e da pelo.
Al primo gruppo appartengono tutti gli uccelli commestibili, non domestici, al secondo tutti gli animali “terrestri” come la lepre, il cinghiale, i caprioli, ecc.
Quest’ultimo tipo di cacciagione, a carne “nera”, è piuttosto indigesta ed è quindi un cibo di cui è meglio non abusare.
Quasi tutta la cacciagione, salvo eccezioni, richiede uno o più giorni di frollatura, prima di essere consumata.
Ora, qui di seguito vi elencheremo una buona parte di varietà di selvaggina, riportando anche i rispettivi tempi di frollatura.
SELVAGGINA DA PENNA

Allodola: deve essere piuttosto giovane e in carne (a questo proposito vi ricorderemo che per stabilire la giusta “pinguedine” dell’animale basterà palpare la carne, per accertarsi che sia resistente, e soppesarlo per vedere se il peso è proporzionato al volume).
Non richiede frollatura e va cotta leggermente al sangue.

Anitra selvatica: l’animale giovane e tenero si riconosce dalla pelle, che deve presentarsi fine e bianco-giallastra, dal grasso poco pronunciato e dalla flessibilità del becco che deve piegarsi sotto la pressione delle dita.
Deve essere mangiata fresca e ben cotta.

Arzavola: appartiene alla famiglia delle anitre selvatiche e vive d’abitudine nell’acqua.
Per riconoscerne la freschezza valgono gli stessi suggerimenti dati per l’anitra.

Beccaccia: è uno degli animali più apprezzati, per la delicatezza della sua carne, che è nutriente e succolenta, e per il suo sottilissimo profumo.
La beccaccia deve essere ben frollata e non bisogna cuocerla troppo per non farle perdere il suo “caratteristico” aroma.
Gli esemplari più giovani si riconoscono da una accentuata irridiscenza delle zampe.

Beccafico: è un uccelletto dalla carne pregiatissima e profumata, caratterizzata da un sapore amarognolo.
Non richiede frollatura.

Fagiano: è indubbiamente uno degli animali più pregevoli, sia per la bellezza del suo piumaggio, sia per la delicatezza della sua carne, particolarmente saporita.
Deve raggiungere un determinato grado di frullatura (cinque o sei giorni sono il “tempo” ideale per dare alla carne del fagiano una meravigliosa fragranza) completamente coperto dalle sue penne.
Si può stabilire il momento giusto per mettere il fagiano in pentola osservando il colore del ventre che diventa quasi azzurro.

Pernice: ha carne delicatissima e nutriente e non sopporta alcuna frollatura.
La pernice giovane è più tenera e richiede una cottura piuttosto breve.
La pernice adulta è molto più gustosa ed esige invece un tempo di cottura più prolungato.
In genere una pernice è sufficiente per due persone.

Quaglia: come la pernice non tollera la frollatura, quindi va consumata appena cacciata.
Ha carne delicata, consistente e bianca.

Tordo: è un animale che acquista particolare sapore nella stagione dell’uva (che insieme al ginepro rappresenta il suo cibo preferito.
Va mangiato freschissimo.

SELVAGGINA DA PELO

Capriolo: la stagione migliore per consumarlo è l’autunno avanzato.
Ha carne tenera, saporita e profumata.
I pezzi più pregiati sono il dorso e il cosciotto.
Dovendolo conservare per qualche giorno è bene immergerlo in una marinata.

Cinghiale: deve essere consumato in “tenera età”.
L’animale giovane si riconosce dai denti (che si presentano più corti dell’animale adulto) e dalla compattezza della carne con la pelle molto aderente.
Del cinghiale adulto si utilizzano quasi esclusivamente le cosce (con cui si prepara anche un ottimo prosciutto) e le spalle: è indispensabile però, prima di consumarle, lasciarle per qualche giorno in una forte marinata.

Lepre: i mesi migliori per consumare la lepre sono quelli invernali, poiché è proprio in questo periodo che la carne raggiunge una maggiore saporosità.
La lepre può essere mangiata freschissima o anche dopo due o tre giorni di “riposo”.
L’animale giovane e fresco si riconosce per la assoluta mancanza di odore, la carne rosea, l’assenza di venature verdastre sulla pancia, le zampe sottili e i ginocchi grossi, le orecchie fragili e l’occhio ancora vivo.
E’ importante per la conservazione della lepre, che venga privata della vescica appena cacciata.
La lepre si prepara per la cottura nel seguente modo: si fanno quattro tagli circolari sull’attaccatura delle zampe anteriori e posteriori, quindi si fa continuare il taglio sulle cosce, in modo da metterle a nudo.
Si pratica poi qualche altro taglio sulle zampe anteriori , per poter togliere più agevolmente tutta la pelle dell’animale.
Una volta completamente pelata la si adagia sul tagliere e con un coltello molto tagliente si pratica un’incisione dal ventre al petto: si allargano i due lembi con le mani e si estraggono le interiore.
Quindi si eliminano le zampe e la testa.
Per preparare una lepre per il salmì o un intingolo si seziona nel modo seguente: tagliare nel punto dell’articolazione le due zampe anteriori, poi le cosce.
Appoggiare sul fianco il dorso rimasto ed eliminare l’estremità delle costole, tagliandole, dividere dividere quindi il dorso in pezzi regolari di quattro-cinque centimetri circa.
Fendere la colonna vertebrale per separare le due cosce e ridurle a loro volta in due parti, tagliandole nel mezzo del femore.
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